Napoli-Juve, la notte di mezzo scudetto

Stasera gli azzurri di fronte a uno snodo importantissimo: più volte c’è stata l’illusione di farcela, stavolta sembra diverso
Napoli-Juve, la notte di mezzo scudetto© LAPRESSE
Antonio Giordano
5 min

NAPOLI - Trentatré anni, Dio come passa il tempo...! Salvatore Cascio non è mai uscito dalla pellicola di Nuovo Cinema Paradiso e l’Oscar sta (ovviamente) ancora lì; il Mondiale di calcio in Italia ha lasciato stadi superati, metropolitane da completare, le solite cose nostre (in minuscolo, non sia mai) - e la Germania che li conquistò ha fatto in tempo, solo poi nel 2014, ad assecondare Gary Lineker, a ricordarci che il calcio è un gioco semplice, ventidue uomini inseguono un pallone e però vincono sempre loro. E’ successo anche in Italia, prima che non cambiasse assolutamente nulla: dopo la Torino bianconera, nove anni di tirannia, poi una volta l’Inter, un’altra il Milan e la questione meridionale che si ripropone nelle traiettorie più bizzarre delle analisi che annaspano nel vuoto. Però stavolta sembra diverso, non certo un’altra storia, qui c’è sempre paura - si direbbe il sospetto - che la felicità venga sequestrata in una stanza d’albergo, ma in sessantamila si sono prenotati per credere sia possibile sovvertire il potere costituito: la chiamano la madre di tutte le partite, non sa di retorica ma di stato d’animo, è la rappresentazione emozionale d’una ribellione squisitamente calcistica: altre forme di interpretazioni sarebbero un po’ troppo libere, o forse no, chi può dirlo? E però c’è un senso nuovo in questa teoria di uomini che s’incammina in quel giardino incantato che Spalletti ha abbellito dopo un’estate sovversiva, stavolta sì, in cui i luoghi comuni sono stati presi a pedate e con il coraggio a due mani s’è plasmata un’Idea nuova, persino rivoluzionaria: forse è là dentro, in questa specie di blasfemia del calcio - inventarsi un’identità inedita e insospettabile, troncare con quel ch’è rimasto delle malinconie di un’epoca scintillante eppure disadorna - che si è purificato l’orizzonte inducendo a immergersi completamente in un’atmosfera favolistica.

I ragazzi

Trentatré anni fa, mentre Napoli ondeggiava nella sua felicità, simile eppure diseguale a quella dell’87, Alex Meret non era ancora nato e neanche Kim, anzi si fa in fretta a sottolineare che soltanto Salvatore Sirigu se la spassava nella culla o nei dintorni, ovviamente ignaro di ciò che accadeva: qualcuno deve averlo comunque raccontato e Spalletti, che era ormai prossimo a cambiare la sua vita adagiandola in panchina, sa cosa accadde e pure come andrebbe a giugno, se questi sette punti di vantaggio sulla Juventus e sul Milan basteranno per saldare il conto con il destino. Questa non è esclusivamente una partita, è il completamento d’un ciclo produttivo (ri)cominciato nel 2004, perché quando ci si lancia nei viaggi a ritroso bisogna poi rievocare ogni epoca, con i suoi tormenti: era finita in Tribunale, volarono le uova contro il Presidente Federale, per risentire l’eco d’un pallone si ripartì dal basso, dalla serie C, e pure quel giorno con il Cittadella ne arrivarono sessantamila. Non avrebbero mai sospettato che nel 2011 avrebbero rivisto uno scudetto assai da vicino, tre punti dal Milan, almeno fino al momento in cui, in Napoli-Udinese, non si fossero accorti che Inler e Denis, un amico del futuro e uno del passato, l’avrebbero demolito al San Paolo con quell’1-2 da psicanalisi. Quante volte, in trentatré anni, Napoli è rimasta a guardar le stelle, e pure nel 2015 venne abbagliata a lungo, rimase sospeso nella propria illusione, l’assorbì appieno nella prima edizione della Grande Bellezza, venne stordita a Udine dalla sorte - che sa essere cinica e bara - e a otto partite dalla fine fu costretta ad arrendersi di nuovo, fingendo d’essere egualmente euforica per avere costruito un calcio esaltante, che sapeva di guardiolismo però si chiava sarrismo, evaporato pure nel 2018, questa è un’incontrollabile ossessione, in un weekend pazzo, tra San Siro e Firenze, tra Pjanic e il Cholito Simeone, tra Orsato e tutto ciò che può essere infilato in un retro-pensiero dolente.

Il nuovo nemico

In trentatré anni, saltellando dall’inferno del Fallimento al Paradiso della resurrezione, il Napoli ha scoperto che il suo “nemico” poi neanche tanto occulto si chiama Massimiliano Allegri, perché c’era lui al Milan nel 2011, prima che si accomodasse in un ristorante da cento euro e con dieci vincesse cinque scudetti di seguito, due dei quali sembravano lì, intorno al Maschio Angioino, nella umanissima visione d’una città che è arte, sole, mare e terra, è poesia, è musica, è cultura, è caos, è stereotipo di se stessa, è un inno alla fantasia, è un teatro a cielo aperto all’ombra d’un sogno. 


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