Napoli-Fiorentina, il programma della festa scudetto

I 55.000 del Maradona completano l’abbraccio ai Campioni d’Italia. Artisti, canti e balli: stavolta lo show azzurro sarà completissimo
Antonio Giordano
6 min

Quante cose sono cambiate in questa città-teatro in cui la felicità adesso appartiene (giustamente) a chiunque: trentatré anni non sono volati via, hanno rappresentato un’eternità, e quando a un certo punto Napoli si è trovata a ondeggiare, smarrita, negli scantinati del calcio, la tristezza è diventata la compagna di passeggiate amare e dolenti. C’è stato un tempo infinito in cui la malinconia s’è impossessata degli uomini, pareva non ci fosse più un domani, che quelli fossero semplicemente palloni avvelenati, e che il loro Dio, Diego, appartenesse ad un’epoca irripetibile, l’unico squarcio di luce d’un settennato ormai sepolto nel labirinto della memoria. E invece Napoli è rinata, risorta da se stessa, dalle ceneri di quell’estate del 2004 che pare un incubo capitato in notti tormentate che stavolta sfuggono via: è la vita, con i suoi saliscendi, e stavolta si può alzare lo sguardo verso il cielo e scoprire dove siano le stelle. La Storia s’è fermata in quello stadio che ora è dedicato a Diego, c’è un velo di nostalgia a pensarci, ma proveranno ad urlare talmente tanto, perché l’eco arrivi lassù, nell’alto dei cieli. I soliti cinquantacinquemila hanno già preso posto, è come se non se ne fossero mai andati dal 30 aprile, poi a sei minuti dalla fine hanno rimesso a posto i cori, li hanno congelati, rielaborandoli per Udine e comunque aspettando una domenica in cui Napoli-Fiorentina sa del passato, della bella epoque, un filo azzurro che collega generazioni e gioia, il collante di quei deliri di massa che rappresentano un’emozione. C’è una felicità che non può essere negata, perché mai si dovrebbe?, e Napoli se ne sta nelle proprie emozioni, le coglie e le nutre, le sparge intorno a sé, anzi nel Mondo dove ha figli sparsi ovunque, testimonial d’un senso di allegria collettivo che appartiene alla natura stessa di questa gente. Sarà pure questa una serata speciale, perché niente può essere improvvisato, non lo è certo stato questo scudetto - l’eredità di una filosofia, di un’idea diversa che è germogliata sin dal 2004, da quando Ad L ha scelto le strade alternative - e stasera, nella presentazione all’americana, in stile hollywoodiano vist e le radici di De Laurentiis, e le luci della ribalta finiranno per illuminare il sorriso dei protagonisti, che sfileranno ad uno ad uno e sentiranno l’abbraccio prima di ricevere in settimana quello del Sindaco. 

Cosa succede

Qualcosa è cambiato, rispetto a domenica scorsa, quando era stato approntato un piano-traffico imponente che stavolta invece non ha ragione d’esistere (chissà perché?): nel Maradona non ci sarà posto, se non per le lacrime. Ma parecchio rimane eguale nel cartellone di una domenica celebrativa, che dovrebbe essere arricchita da uno spazio canoro riservato a Clementino e ad LDA, il figlio di Gigi D’Alessio, con un repertorio di canzoni esclusivamente napoletane, perché il patrimonio è notevole e non conosce la ruggine, come l’oro. Alle diciotto, quando metteranno la palla al centro, i pensieri saranno comunque altrove, si respirerà un’aria nuova e Napoli avvertirà le vibrazioni della propria anima, che saranno scatenate da una leggerezza che da giovedì 4 maggio s’avverte ovunque, nonostante sporadicamente qua e là s’avvertano ancora gli echi di fuochi pirotecnici, testimonianza di un’euforia che non evapora. Sarà una felicità però ufficialmente contenuta in quel perimetro, il Maradona , il set d’un film che De Laurentiis sta realizzando sin dalla prima giornata di questo campionato, una tentazione scatenata nel trimestre di sofferenza del Covid, guardando The Last Dance, la ser i e dalla quale fu rapito. E si ballerà, così dicono, e lo farà Tommaso Starace, il magazziniere, che tenterà di convincere anche AdL a concedersi un passo di danza, mentre intorno ci sarà quel clima di benessere che uno scudetto può offrire ad una città sommersa dai turisti, capace di brillare di luce propria, di sentirsi dentro a un Rinascimento che adesso è pure calcistico. Il miracolo di San Gennaro, ieri, alle 17.03, l’ha confermato: ma ce n’era già stato un altro, il 4 maggio, alle 22.37. Però che non si mischino le due fedi, quelle sacre e quelle pallonare.
 

 

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