Spalletti e De Laurentiis, infelici e vincenti

Leggi il commento sul rapporto tra il tecnico dello scudetto e il presidente del Napoli
Spalletti e De Laurentiis, infelici e vincenti© LaPresse
Massimiliano Gallo
3 min

Caro direttore, in questi giorni mi sono imbattuto su Sky in un documentario sul terribile incidente di Niki Lauda del 1976. Un passaggio mi ha profondamente colpito. Daniele Audetto, team manager della Ferrari di quell’anno, racconta la sua conversazione con Enzo Ferrari dall’ospedale dove Lauda lottava tra la vita e la morte. «Chiamai Ferrari diverse volte – racconta Audetto – e lui mi disse di non rimanere lì tanto la situazione la conoscevo e non potevo farci niente. “Devi tornare al circuito e trovare un altro pilota perché Niki non guiderà mai più, forse un giorno, ma per quest’anno sicuramente è fuori discussione. Non sappiamo neppure se sopravviverà”, mi disse». Mi ha colpito perché oggi è raro, se non impossibile, imbattersi in qualcuno che associ caratteristiche negative al mitico Enzo Ferrari. Da tutti definito leggendario, visionario. Eppure era un cinico, uno spietato, e ci fermiamo qui per non scadere nel turpiloquio.

Questo per dire che i proprietari, i padroni per usare una terminologia démodé, sono ineluttabilmente una razza infame. È il loro ruolo. Se non lo fossero, non potrebbero ricoprire quel posto. Sarebbero fatti fuori. In questo, venendo a cose più vicine a noi, non fa eccezione Aurelio De Laurentiis. Cui è stato assegnata la parte del cattivo in questa tortuosa e prolissa vicenda con Luciano Spalletti. Ma buono, cattivo, ragione, torto, sono categorie elementari, oserei dire infantili. Caratteristiche di un mondo, quello contemporaneo, che ha l’ossessione della semplificazione e della eliminazione delle asperità, dei contrasti. In particolare questa assillante narrazione sportiva sempre improntata al mondo delle favole, con tutte quelle balle sull’armonia, l’importanza del gruppo, i calciatori legati alla maglia o al tecnico. Come se i soldi, l’invidia, le gelosie, le ripicche non esistessero. E allora perché noi comuni mortali - che guadagniamo infinitamente meno - le viviamo quotidianamente sul luogo di lavoro? Spalletti e De Laurentiis hanno vissuto una stagione praticamente senza rivolgersi la parola. Ma non si poteva dire perché sennò si sarebbe rovinata la narrazione da libro Cuore che oggi i lettori pretendono. Se solo capissero che, detestandosi, Spalletti e Adl hanno vinto un campionato. La vita è sangue e merda. E in fondo quelle buste paga da milioni di euro (non 1.300 al mese) stanno lì anche per farti sopportare tensioni e comportamenti sgradevoli. Persino ingiusti come le pietre per il terzo posto o quelle eventuali in caso di uscita ai quarti di Champions la prossima stagione.

Il mondo del calcio è come il mondo dell’alta finanza. Il linguaggio dovrebbe essere quello degli squali. In finanza è accettato. Nel pallone no. Basta buonismi. Viva Spalletti che risponde per le rime a Osimhen. Sarebbe così bello un allenatore che dicesse: «Mi ha fatto pena il presidente che non mi ha telefonato per lo scudetto. Ma non me ne frega niente. Abbiamo vinto senza di lui. Mi diverto a fare il mio lavoro e guadagno pure tre milioni l’anno». Ci alzeremmo in piedi e non smetteremo facilmente di applaudire.


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