De Laurentiis, un uomo solo al comando

Il commento di Italo Cucci sullla gestione del club azzurro da parte di De Laurentiis
De Laurentiis, un uomo solo al comando© LAPRESSE
Italo Cucci
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NAPOLI - Donna Paola, misteriosa amica retaggio di notti televisive anche sgodevoli - ossia disturbate da intimi sgomenti di opinionisti a lingua libera - mi disse un giorno, come fosse l’Anagrafe: «Voi siete napoletano». Lo diceva anche Don Carmine, eclettico Caronte. Mi davano licenza, insomma, di continuare a parlare della lor gente come se fossi impastato della stessa coscienza e conoscenza. Mi difendevano dai tanti odiatori di Aurelio De Laurentiis - dire nemici significherebbe scovare nella mischia anche ritratti del coraggio - che non erano (e non sono) mai contenti di lui. Io ne parlavo bene e basta. Non ha bisogno di difensori, spesso intralciano le opere. Lo detestavano quand’era logicamente perdente, ovvero in caccia di uno scudetto posto in fondo a una strada ricca d’ostacoli - C, B, A, Europa - saltati tuttavia uno a uno. Lo detestano da quando ha vinto perché in fondo ha osato contraddirli, sbugiardarli, ridicolizzarli. Peggio ancora: li ha fatti godere. Ma come s’è permesso un fragoroso ingresso nella loro intimità???

A Napoli sembra non sia cambiato nulla. La tendenza intellettuale è tritare tutto fuorché Maradona. Ed è una scusa rifugiarsi nell’Impossibile, nella ininterrotta riverenza al Diego la cui scarpetta è stata baciata - al mural dei Quartieri Spagnoli - anche da Elly. Una vile scusa, perché raramente il nome di Diòs è rammentato insieme con quello del suo profeta: Don Corrado gode da più di trent’anni dell’ignobile irriconoscenza dei napoletani che non lo amarono - come De Laurentiis - prima, durante e dopo i primi storici scudetti. Ferlaino venne un giorno da Antonio&Antonio, in via Partenope, e glielo dissi. «Qui è più rischioso essere amati» mi rispose.

De Laurentiis, il Signor Sì-Però

Lasciamo perdere Lauro, il Comandante occupava il cuore, la mente e anche lo stomaco dei napoletani. Non ho invece dimenticato il Perdente di Successo, l’amatissimo Roberto Fiore, presidenza e vecchiaia da record. Io che li fotografo subito e li piazzo nell’album dei ricordi lo pensai - anche novantenne - sempre gagliardo e ridente, elegante, comunicativo; un vincente nato. Figlio di Poeta, poeta egli stesso - ma notturno - aveva portato al San Paolo Sivori e Altafini, Omàr e Giose insieme a sessantacinquemila abbonati, taluni con la cessione del quinto. Primo nella partita a vinciperdi, Fiore osò invitare anche Pelé. L’avesse avuto, sarebbe rimasto davanti a Ferlaino; e De Laurentiis, nonostante lo scudetto più bello del secolo (lasciate perdere se non è vero) è ancora un Signor Sì-Però. Se ha subìto insulti e derisioni perché un anno fa ha svuotato la cantera, oggi è deprecabile perché ha eliminato Spalletti e - come si chiama quello della Juve? - sì, Giuntoli, i suoi complici. Leggevo - non ricordo se ridevo - «il presidente del Napoli Aurelio de Laurentiis lascia andare David Ospina, Lorenzo Insigne e Dries Mertens, oltre a vendere Kalidou Koulibaly per 28 milioni di euro al Chelsea e Fabián Ruiz per 23 milioni di euro al PSG. Viene tolta la spina dorsale della squadra, viene staccata completamente dal suo passato recente e rimpiazza i big con un georgiano di 21 anni, un coreano che gioca al Fenerbahçe, un norvegese che era sceso in B con il Genoa, e compra altri due centravanti potenzialmente titolari mentre il Napoli ha già Victor Osimhen in rosa».

Già, Osimhen. Terque quaterque, il mercato non è finito e Osi è lì - con Kvaratskhelia, con Zielinski - nel Napoli tricolore, alla faccia degli Arabi e di tutto quel mondo di ricconi che non sono riusciti a rubarli al povero DeLa - un bilancio sano è da poveracci, i debiti son sogni e desideri - che però si è fatto fregare Obri Veiga dagli sceicchi. Ma certo, con Giuntoli non sarebbe successo, Con Spalletti… Beh, qui non entro, mi ci vorrebbe una pagina. Aurelio, stai contento. Ancora una volta hai rimasto solo.


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