Napoli, se il Progetto diventa Fallimento

Leggi il commento sul momento del Napoli di Calzona
Napoli, se il Progetto diventa Fallimento© Getty Images
Antonio Giordano
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Se Aurelio De Laurentiis sapesse parlare al presidente del Napoli potrebbe dirgli tutto ciò che la corte dei miracoli di cui si circonda e dalla quale viene assecondato gli ha nascosto da almeno dodici mesi.  

Un anno potrebbe non essere passato inutilmente, se dinnanzi a un’onesta autocritica si rimettessero a posto i cocci di questo Fallimento e si provasse a scorgerne le cause, mica solo gli effetti danarosi. Perché a marzo del 2023, quando quella meravigliosa creatura di Luciano Spalletti aveva già seriamente conquistato lo scudetto, Adl sapeva più o meno ciò di cui è consapevole adesso: avrebbe dovuto trovare un allenatore da non infastidire con richieste su moduli e formazioni; avrebbe dovuto ingaggiare un manager coraggioso e rivoluzionario come Cristiano Giuntoli e non sospettare con leggerezza che il capo degli osservatori, Micheli, potesse orientare le strategie, né consegnare a Meluso, incaricato del ruolo, alcun potere esecutivo; avrebbe dovuto investire su un difensore centrale, non avendo più Kim, la fonte dei più irritanti rimpianti; avrebbe dovuto affrontare l’eredità di Zielinski e forse già allora pure quella di Osimhen, legati con lo scotch a contratti ormai fragili; avrebbe dovuto dare un senso compiuto e granitico al proprio club, che invece ha cominciato a sgretolarsi ed ha finito per smontare l’area scouting con il trasferimento di Mantovani al settore giovanile.  

A giugno scorso, il presidente del Napoli ha ascoltato esclusivamente Aurelio De Laurentiis, che all’epoca non era ancora gonfio di quell’ira sgradevole e inaccettabile che un giorno sì e l’altro pure lo porta ad insultare un nemico da individuare, fosse un allenatore del passato o un giornalista o un cameraman; e forse, in quel tempo, il Sistema - cioè la Lega, i suoi colleghi, i cosiddetti compagni di banco, e ora anche l’Uefa che ha aperto un procedimento disciplinare dopo il Politanogate di Barcellona con la troupe e il giornalista di Sky - non gli si era neppure rivoltato (giustamente) contro, perché c’è poi un giorno in cui è doveroso e dignitoso dover dire basta a chi ritiene di essere il padrone di regole da sfruttare a modo suo. Quasi senza accorgersene, Adl ha avviato un processo di autodistruzione al quale deve porre rimedio con lo stesso istinto - si direbbe il talento - che per diciannove stagioni l’ha guidato, nonostante un’esuberanza di fondo che gli è sempre appartenuta e l’ha trascinato fuori dalla righe, mai fuori controllo come stavolta.  

Ma adesso Adl sa che sta seriamente cominciando l’anno zero, ha costruito e poi dissolto in un nanosecondo un’Idea che non esiste più, è finita sotto le macerie di questa gestione schizofrenica, che però può diventare il modello di riferimento da non seguire, una lezione che aiuti a programmare e che suggerisca di evitare le linee guida di questa tormentata esperienza. Altrimenti, come avrebbe detto Gassman, Adl e con lui il Napoli avrebbero semplicemente un grande avvenire dietro le spalle. 


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