Non può essere un caso. L’ultima volta era successo 483 giorni fa, alla fine della cavalcata tricolore. In panchina c’era Luciano Spalletti, l’eroe del terzo scudetto. Lo stesso allenatore, ora di un altro azzurro vestito, che ieri sera al Maradona ha ammirato dalla tribuna lo spessore e le grandi qualità del Napoli tornato dopo tanto tempo da solo primo in classifica. Un rilancio dopo una stagione fallimentare che porta la firma inconfondibile di Antonio Conte, l’artefice di questa ricostruzione che sta già facendo sognare la città. Quattro vittorie su sei in campionato, la qualificazione agli ottavi di Coppa Italia già centrata, 16 gol stagionali con 11 giocatori diversi. I numeri parlano chiaro, ma è la consistenza della squadra a impressionare. Guardando giocare il Napoli si ha una netta sensazione: sembra vedere in campo undici ragazzi appena usciti da una riunione con Conte. Quelle dalle quali vieni fuori pronto a sfidare anche due squadre messe insieme, come ha raccontato di recente Insigne al nostro giornale. La crescita mentale del gruppo è sicuramente il primo risultato importante della nuova gestione.
Poi c’è la qualità della rosa che fa la differenza, quella che consente al tecnico una gestione impeccabile dei momenti e delle situazioni. Ha iniziato la stagione con la difesa a tre, poi è passato a quattro per cucire il vestito che ritiene più adatto agli uomini che ha a disposizione. Ma ieri sera, quando ha annusato il pericolo per la reazione del Monza, non ha esitato a tornare a tre dietro (praticamente a cinque) per chiudere la terza partita di fila in campionato senza subire gol e per blindare i tre punti che lo hanno riportato in vetta. In settimana, nella sfida di Coppa Italia con il Palermo, l’allenatore ha avuto la conferma che può contare anche su quelli che finora hanno giocato di meno, il turnover non è più un incubo. E questo, per chi guida in panchina, è un traguardo del quale andare fiero. Dal ciclo Benitez fino a Spalletti, passando per Sarri e Ancelotti, gli stravolgimenti di formazione erano stati sempre un problema per il Napoli. Ma, al di là dei risultati, vedere l’approccio alle partite di questa squadra rende orgogliosi i tifosi. E questo contribuisce a ricompattare l’ambiente, un altro dei grandi obiettivi dichiarati dall’allenatore.
Quando poi hai in squadra elementi del calibro di Scott McTominay cambiare pelle, trasformarsi e adattarsi alla partita diventa più facile. Lo spessore dell’uomo e del calciatore, il colpo di fulmine con la città e la serietà con la quale interpreta le partite: una sintonia incredibile trovata in poche settimane testimoniata da quel bacio alla maglia dopo il suo primo gol azzurro. Già, un bacio d’amore. Lo stesso che è arrivato a quasi 1300 chilometri di distanza, dove un altro calciatore ha baciato la nuova maglia dopo aver segnato il suo primo gol. L’esultanza di Osimhen al Galatasaray ha fatto il giro degli smartphone dei tifosi azzurri, ancora in attesa di un saluto dall’uomo simbolo del terzo scudetto. Ma il calcio, si sa, ha la memoria corta. Il Napoli ha voltato pagina, non c’è più spazio per i capricci. Per ora pensa a guardare tutti dall’alto.