Dottor Napoli e mister Napoli: un gruppo, due anime. Un motore, due tempi. Sdoppiamento di personalità, è la strana sindrome di cui soffre la squadra soprattutto da un po’ di giornate a questa parte: benissimo nei primi quarantacinque minuti, male o malissimo nella ripresa come lunedì al Dall’Ara. È come se la luce si spegnesse all’improvviso. È accaduto prima contro Como e Milan e poi lunedì con proporzioni maggiori e contorni peggiori: zero tiri e zero tocchi in area nel secondo tempo fino a pochi minuti dal gong; 4 tocchi alla fine contro i 24 degli avversari, più una punizione sulla barriera e un tiro di Raspadori deviato da Olivera al 94’ contro i 6 dei rossoblù. Certo il Bologna è davvero forte, molto ben preparato e molto ben allenato da Italiano, ma la trasformazione degli azzurri è sembrata paradossale. Apparentemente inspiegabile considerando le motivazioni scudetto; il singolo impegno settimanale; e l’indubbia serietà dei giocatori sottolineata anche da un cultore del lavoro duro quale è Conte.
Napoli, i motivi del calo
Eppure, beh, qualcosa dovrà accadere se nel primo tempo schiacci gli avversari, correndo e giocando tanto e bene, e nel secondo finisci in un flipper o in un frullatore. In sofferenza contro il Como e il Milan, letteralmente divorato dal Bologna (limitandosi alle ultime): fase offensiva azzerata nel vero senso della parola ma, va detto, anche tanta resilienza difensiva, il fattore positivo che tende a confermare la dedizione della squadra. Di certo c’è una componente psicofisica condizionante; un logorio mentale e atletico che introduce le probabili concause: e dunque l’incidenza della scarsa profondità della rosa - indebolita dal mercato - e un impiego molto blando dei componenti della panchina. Al Dall’Ara i cambi del secondo tempo sono stati tre: Gilmour per l’infortunato McTominay al 25’; Raspadori per un impalpabile Neres al 29’; e Ngonge per Politano al 47’. Cioè al 92’, a due minuti dalla fine dei quattro di recupero. Semi invisibili Billing e Okafor.
Mentalità e rendimento
Stellini, lunedì in panchina al posto dello squalificato Conte, ha parlato di una ripresa in cui il Napoli «ha forse badato più a difendere che a giocare», precisando che questa tendenza ha fatto perdere il ritmo e la capacità di sviluppare il gioco. «Noi siamo una squadra che quando perde il ritmo non riesce a imporsi e a ripartire. Dobbiamo crescere in mentalità e in voglia di giocare la palla». Ma la mentalità, l’aggressività e l’intensità del primo tempo, sia in fase offensiva sia in quella difensiva uomo contro uomo, sono state ottime. Giustissime, da scudetto. E proprio per questo motivo è complesso trovare una spiegazione a una metamorfosi così netta e improvvisa. Dal punto di vista strettamente fisico, per amore di verità, anche nella ripresa il Napoli ha corso fino all’ultimo minuto, e ciò significa che la squadra non s’è sbriciolata atleticamente. L’inconsistenza offensiva e il tramonto delle pressioni, delle transizioni e della lucidità di uscire dal pressing sia lanciando lungo verso Lukaku sia sfruttando l’ampiezza ammirate nel primo tempo, però, significano qualcosa. Conte e la squadra analizzeranno tutto oggi alla ripresa, è ovvio, ma in attesa delle sette tappe finali restano i calcoli: 6 pareggi, 2 vittorie e una sconfitta nelle ultime 9; 2 punti tra Udinese, Como e Venezia. Cinque vittorie in meno contro gli stessi avversari rispetto all’andata. Ecco perché oggi il Napoli insegue l’Inter a -3.