Se Fonseca vive nel presente

Se Fonseca vive nel presente© LAPRESSE
Francesco de Core
4 min

Un grande poeta che Paulo Fonseca ammira, il portoghese Fernando Pessoa, sosteneva di vivere sempre nel presente, di non conoscere il futuro, di non avere più passato. Fonseca, oggi, può nutrirsi solo di presente, lui con la sua Roma. Certo, dire che stasera a Bergamo si gioca tutto è come dar credito a una iperbole. Ma questa Roma di iperboli si nutre quotidianamente, non sembra farne a meno, è il segno della sua storia, un reiterato richiamarsi a un eccesso, in alto e in basso, tra emozioni e depressioni. Roma capace di chiudere un anno solare con una prestazione superba come di cominciare il successivo smarrendo ogni convinzione, smunta copia di ciò che era stata, quattro sconfitte in sei gare di campionato. Vivere nel presente: Fonseca non ha altra possibilità, non ha altre carte da estrarre dal mazzo assottigliatosi pericolosamente. Non gli è più concesso di pensare al passato, non gli è più permesso di guardare al futuro. Per rendere solido l’oggi, deve battere l’Atalanta, aver ragione della macchina perfetta assemblata da Gasperini. Non ha altra strada se non vuole perdere il treno che porta alla Champions. Sei punti (in realtà sette, nel gioco dei confronti diretti) sarebbero un solco troppo grande da colmare. Almeno per una Roma che ha perso memoria del suo bel cammino.

Per vivere questo presente, così tremendamente somigliante a un piano inclinato, Fonseca ha deciso di imboccare la strada più battuta: quella dell’esperienza. Pur non avendo ancora completa dimestichezza con la nostra lingua, Fonseca sa a quali parole basiche affidarsi. A quali concetti fondamentali chiedere supporto. Esperienza, sì. Tradotto: non è più tempo di gioventù. O meglio, non è più l’ora di credere che sia la sfrontatezza, l’imprevedibilità dei giovani a recuperare la Roma a una affidabilità di prestazioni e di risultati quanto meno decente. Adesso il presente è dei più esperti. Dei più rodati. Non dei prospetti che il diesse Petrachi ha messo a disposizione del tecnico nel mercato di gennaio. Il presente di Fonseca non collima con il futuro di Petrachi. L’autocontrollo di Fonseca non fa seguito all’incontinenza verbale di Petrachi. Fonseca avrebbe avuto bisogno di sostanza, che è fatta di partite giocate e campi ampiamente dragati, non dei campioni in abbozzo che Petrachi gli ha portato a Trigoria.

Il portoghese non ha voluto commentare la conferenza smodata del direttore sportivo. Forse non aveva nulla da aggiungere, se non poche frasi di circostanza, rituali, lapidarie. È però l’evidenza dei fatti a narrarci una ormai plastica diversità di vedute. Fonseca difende il suo presente, e per farlo ha deciso di rimettere al centro del villaggio Fazio, Bruno Peres, Mkhitaryan, forse Kolarov e lo stesso Perotti. Tutti dai trenta a salire.

Poi verrà un altro tempo, e in quello - che sarà dell’era Friedkin, con tutti gli scenari che si apriranno dopo il vuoto in cui si sta esaurendo tristemente l’era Pallotta - altre prospettive saranno delineate, altri progetti tracciati. Per ora, Fonseca è come il suo Pessoa. Vive nel presente. Ai vecchi soldati chiederà, per quanto possibile, di non buttare tutto a mare stasera a Bergamo. Nell’imbuto in cui si è infilata la Roma, non è per nulla facile. Ma neppure impossibile. L’importante, almeno, è crederci. Non solo a parole. 


© RIPRODUZIONE RISERVATA