Dalla Roma alla Juventus: la lunga storia proibita

Affari e passione, quando i punti di contatto si trasformano in diatribe: la sommossa per la cessione di Capello, Spinosi e Landini e i veleni sparsi ai tempi di Vucinic, Emerson e Pjanic. Zaniolo rinfresca gli attriti
Dalla Roma alla Juventus: la lunga storia proibita
Roberto Maida
4 min

ROMA - Nell’epoca in cui indiscrezioni e desideri precedono persino le trattative, può capitare che un tifoso si prepari allo scenario meno gradito: e così i romanisti chiedono con forza a Zaniolo di non andare alla Juventus quando ancora la Juventus non ha formulato una proposta concreta per acquistarlo. «Nicolò, non ci andare». E’ uno spauracchio che viene dall’esperienza, da un passato che ritorna uguale a se stesso come nei cicli vichiani. Nel business pesce grande mangia pesce piccolo, seguendo la scia tentatrice del denaro. Non basta alla Roma la potenza economica di un grande gruppo imprenditoriale, quello della famiglia Friedkin, per cancellare gli oneri della gestione precedente. Servono tempo e pazienza, come spesso ha ricordato Mourinho. Ma la sceneggiatura è densa di prequel, sin dai tempi in cui il trio Capello-Spinosi-Landini veniva venduto alla Juve nonostante una rivolta popolare.

I tetti di Roma

Era il 1970. Il Corriere dello Sport, consapevole di quanto stava accadendo, titolò così: «Se cedete i gioielli vi spareremo dai tetti». Pensate un po’ cosa accadrebbe oggi, sui social media permalosi e bacchettoni, davanti a una prima pagina così. Eppure il presidente Alvaro Marchini, che doveva fare i conti con il bilancio, non si lasciò influenzare e accettò lo scambio economicamente vantaggioso. La Roma ottenne Del Sol, Zigoni, Roberto Vieri e soldi, senza però placare la furia dei tifosi che scesero in piazza. Esplosero anche tensioni interne perché Helenio Herrera gridò al tradimento mentre Marchini sosteneva che l’allenatore avesse approvato l’operazione.

Il bis

Capello poi avrebbe percorso la stessa rotta da allenatore, con una sterzata improvvisa consentita da una liberatoria, all’indomani di un pranzo a Trigoria con un nuovo acquisto, Philippe Mexes, a cui aveva spiegato come muoversi nella difesa della Roma Ma alla telefonata di Moggi e Giraudo, che volevano affidargli il dopo-Lippi, non si tirò indietro, nonostante la promessa pubblica risalente a pochi mesi prima: «Non andrei mai alla Juve, loro sono la monarchia e noi la repubblica». Storie colorate di un calcio che non c’è più. Come non era la depressione a turbare la vita di Emerson Da Rosa, centrocampista brasiliano che nella stessa estate 2004 si chiamò fuori dal ritiro presentando un certificato medico. Voleva andare anche lui alla Juve per raggiungere Capello, dopo un sodalizio che aveva fruttato lo scudetto, e fu accontentato. Al pari di Jonathan Zebina, difensore discusso in scadenza di contratto, che traslocò a Torino pronunciando una mitica frase che giustificava la scelta: «Mi piace questa città, è verde e piena di musei». Non come Roma...

Americanismi

Il resto è memoria recente. Senza tanti rimpianti, e neppure palate di euro, la neonata Roma di Pallotta cedette Mirko Vucinic alla Juventus, dopo aver constatato che l’interlocutore non aveva alcuna intenzione di rinnovare il contratto. Tra i tanti passaggi di maglia, quello fu quasi indolore perché la tifoseria era stata rapita dall’idealismo del nuovo progetto, tra gli aforismi di Franco Baldini e il magnetismo di Walter Sabatini. Lo stesso Sabatini, qualche anno dopo, si trovò costretto a pilotare anche Miralem Pjanic verso la Juventus, perché la manovra «a coda di gatto maculato» (parole sue) di trattenere sia lui che Nainggolan non era riuscita. Pjanic, che aveva una clausola rescissoria, convinse la Roma ad accettare l’offerta di 32 milioni. I tifosi se la presero un po’ con il giocatore, che di lì in poi sarebbe stato sempre fischiato da avversario, ma anche con la società, che aveva sventolato un grottesco foglio A4 attraverso la tv di famiglia per dimostrare che Pjanic aveva comunicato l’intenzione di andare via con la clausola. Alla Roma dei Friedkin, che ha agito in un silenzio trasparente, non servirà raccontare favole: se davvero Zaniolo cambierà squadra, sarà perché conviene a tutti.


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