Non è facile interpretare la strategia industriale che porta Dan e Ryan Friedkin all’acquisizione dell’Everton, alla luce dell’impegno finanziario richiestogli negli ultimi anni dalla gestione della Roma. Rilevare un club di Premier non è affare di tutti i giorni: servono enormi disponibilità finanziarie ma anche l’approvazione del board della Premier. Le prime non mancano all’imprenditore americano, il cui patrimonio personale è stimato da Forbes in 6 miliardi di dollari. La seconda non gli sarà verosimilmente negata, anche alla luce dello stato di salute finanziaria assai precario in cui versa l’Everton e della necessità conclamata di trovarne un acquirente.
La mossa dei Friedkin e l'acquisto dell'Everton
Nel comunicato con cui il gruppo Friedkin ha annunciato l’accordo si allude esplicitamente al proposito di “custodire” il club anziché di possederlo. Un concetto assai diffuso nel football britannico spiegatomi anni fa, proprio da un amico ex CFO dell’Everton, con questa massima: non si può possedere un club calcistico, si può solo custodirlo e tramandarlo alle generazioni future. Tuttavia, è difficile immaginare che un gruppo americano assai diversificato (auto, produzioni media, resort di lusso, campi da golf, società turistiche) entri nel calcio senza un obiettivo di ritorno finanziario. Dan Friedkin è un uomo molto riservato, abile e accorto, capace di costruire un gruppo da 13 miliardi di ricavi.
Roma, un investimento oneroso (per ora) senza Champions
Finora il suo investimento nella Roma ha richiesto un miliardo tra l’acquisto del club e le continue ricapitalizzazioni che una gestione mai tornata su un sentiero di equilibrio ha ingoiato. Un frullatore di manager, allenatori e direttori sportivi, bruciati con destituzioni repentine – come rimarcato ieri da Ivan Zazzaroni – senza mai raggiungere l’obiettivo più ambito: accedere al Santo Graal della Champions. I ricavi della Roma sono cresciuti di oltre un terzo (277 milioni nel 2022/23) ma il gruppo delle grandi di Serie A resta lontano e la difficoltà di contenere i costi (nonostante i tagli feroci della gestione Souloukou) continua a generare perdite economiche. Il progetto stadio si è impantanato nelle consuete sabbie mobili della burocrazia italiana, capaci di paralizzare qualsiasi progetto di sviluppo infrastrutturale e chissà se i nuovi propositi di rilanciarlo avranno miglior sorte.
A Liverpool, Friedkin trova un progetto assai avanzato che porterà a inaugurare un impianto da 52 mila posti al Branley Moore dock, sulla sponda del fiume Mersey. Che non è il Tevere, difatti sarà inaugurato già la prossima stagione. Certamente, la possibilità di acquistare un club con un progetto edilizio pressoché pronto ha stimolato l’appetito di Friedkin per l’Everton ma la domanda da porsi è come il gruppo Usa potrà conciliare la gestione dei Toffees con quella della Roma. Benché le norme Uefa consentano la multiproprietà, purché di club non partecipanti alla stessa competizione, la possibilità di trovare le due squadre impegnate nelle competizioni europee non è così peregrina.
L'obiettivo dei Friedkin
Oggi l’Everton naviga nei bassifondi della classifica ma si presume che Friedkin intenda rilanciarlo. Il magnate americano non è più un neofi ta del calcio. Da anni siede nel board dell’Eca e coltiva ottimi rapporti con Nasser Al-Khelaifi . Avrà certamente calcolato il rischio di impasse ma – si dice - sarebbe un caso tutto sommato auspicabile, perché significherebbe aver portato Roma e Everton stabilmente nel calcio che conta. A quel punto, bisognerebbe capire cosa fare. Le voci di una cessione del club giallorosso non si sono mai sopite. Tornano a cadenze variabili, con il denominatore comune rappresentato dal fatto che i compratori evocati sono sempre arabi. Un esito che i tifosi giallorossi, il cui malcontento è esploso la scorsa settimana, certamente non disdegnerebbero ma che appare quanto mai incerto.