
Gli occhi spiritati e l’urlo a squarciagola di Manolas furono quelli di uno stadio intero, trascinato in una trance collettiva che solo chi era sugli spalti dell’Olimpico quel giorno può raccontare. A volte senza trovare davvero le parole giuste. Roma-Barcellona 3-0, la remuntada (sì in spagnolo, perché fatta in faccia agli spagnoli) con cui i giallorossi ribaltarono il 4-1 del Camp Nou e volarono in semifinale di Champions, è uno di quei ricordi che il tempo fatica a cancellare. Sono passati 7 anni, sembrano meno. Come sempre, le cose belle cerchiamo di tenerle vicine, quelle brutte le ricacciamo lontane: è il grande libero arbitrio della memoria, che si permette il lusso di scherzare con il tempo.
Il mondo cambiato
Eppure, se poi vai a guardare meglio, sembra una vita fa se si considera tutto quello che è cambiato. Le regole che non ci sono più: la Roma passa per il gol in trasferta. La rivoluzione Var: in Champions sarebbe arrivata solo l’anno successivo. In campo c’era De Rossi, che nel frattempo si è tolto maglietta e pantaloncini e si è messo il completo per scavalcare la linea bianca del fallo laterale, il limite tra giocatore e allenatore. Ci sono calciatori che hanno smesso, alcuni finiti nel dimenticatoio, un allenatore (Di Francesco) che dopo questa partita sembrava destinato a lotte diverse da quelle attuali. Era diverso anche l’uomo al comando, Pallotta con i suoi tuffi nelle fontane.
Ricordare
E allora perché i romanisti a distanza di così tanto tempo ricordano questa partita in modo così vivido? Per quello stadio, innanzitutto. Chi era lì aveva investito in una scommessa d’amore quasi cieco: ribaltare il 4-1 della squadra che aveva in campo Messi. Spesso, troppo spesso, l’amore dei romanisti ha dovuto fare i conti con gli schiaffi della realtà, quel giorno no, quel giorno tutti sono passati all’incasso.
Fu la dimostrazione che anche le folli speranze dei romanisti potevano sopravvivere alle prove del campo. Fu la grande gioia di sentirsi grandi e soprattutto di sentirsi grandi tra i grandi. Davanti ai signori della Champions. Davanti a sua maestà Messi, Iniesta, Suarez e via dicendo. Fu l’elogio di una follia che troppo spesso aveva sottratto ai romanisti invece che regalare. Fu la finestra inebriante sulla possibilità che dopo altre due partite, forse, a quel punto, chissà, ci si sarebbe potuti giocare la coppa più importante, contro tutti i pronostici del mondo. La Roma stava guardando in faccia il futuro con un viso nuovo: quello determinato, cattivo, quasi bestiale e anche un po’ stupito di Manolas.
La vittoria che arriva
Anche se quella tappa non servì ad aggiungere alcun trofeo alla bacheca di Trigoria, oggi si può dire senza grandi possibilità di smentita che ha aggiunto qualcosa al dna di questa società. Un qualcosa che, grazie al tempo e alla spinta decisiva del più grande ingegnere genetico di club, Mourinho, ha portato a una Conference e a una Europa League sfiorata (sfiorata solo per demeriti altrui...). Quindi sì, vale ancora la pena dopo 7 anni ricordarla quella partita.