Tre piani, la recensione del film di Nanni Moretti

Abbiamo visto il nuovo film del regista italiano. Ecco la nostra opinione
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Torna Nanni Moretti con Tre Piani, adattamento del romanzo omonimo di Eshkol Nevo, ambientato a Tel Aviv, qui trasferito a Roma, in una palazzina nel quartiere Prati. 

I Tre Piani del titolo corrispondono ad altrettante storie, famiglie, dolori, intrecci. Il film si apre su un incidente stradale in cui muore una passante con l’automobile che si schianta nella casa al piano terra di Lucio, Sara e la piccola Francesca (Riccardo Scamarcio, Elena Lietti, Chiara Abalsamo). Lucio conosce l’automobilista in stato di incoscienza: è Andrea, figlio dei magistrati Dora e Vittorio (Margherita Buy e Nanni Moretti) che vivono al piano alto del palazzo. All’incidente assiste Monica (Alba Rohrwacher), mentre si sta recando da sola all’ospedale per partorire, anche lei vive in quell’edificio. 

Sono storie di famiglie e di genitorialità, sulla responsabilità, a volte rifiutata, di essere padre o madre, delle scelte difficili da fare, gli errori commessi oggi che hanno conseguenze nel futuro. 

Tre Piani si svolge in tre differenti linee temporali e poco importa se i personaggi sembrano non invecchiare mai: prendono coscienza degli errori, alcuni vi pongono rimedio, altri attraversano il tempo  cercando di riparare ai danni fatti, altri ancora devono trovare le parole e i gesti per chiedere scusa. 

Per la prima volta alle prese con materiale non originale, Moretti mette in scena drammi familiari, ambienti e personaggi che finiscono con assomigliarsi, visioni, illusioni, dolori con un piglio freddo e distaccato, vuole essere visivamente essenziale, ma a volte sbanda nel didascalico, asciuga la sceneggiatura, ma a volte gli scappa la mano in frasi e dialoghi banali e inutili, quando le immagini avevano già detto tutto. 

Non si fa fatica ad arrivare alla fine di Tre Piani, c’è da riconoscerlo, ma alla fine ci si chiede: perché?


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