
Una figlia, un padre, un delitto, un autentico dramma dove il dolore si accumula a dolore, dove le emozioni più ingestibili e devastanti sono saette dalla testa al cuore. In questo garbuglio emotivo, la vita è in fuga dalla felicità. E un padre disperato può solo restare padre per sempre, l’unica certezza che ha e che è male e bene insieme. L’ultimo film di Ivano De Matteo con Stefano Accorsi, “Una figlia”, è una seduta di elettrica tensione, che sfiora quella di un horror, benché non ne abbia le immagini. Il film è stato presentato oggi e uscirà nelle sale il 24 aprile, con un cast meraviglioso: oltre Accorsi, Michele Cescon (l’avvocata), Ginevra Francesconi (la figlia) e Thony (la moglie). Bello, crudo, vero, De Matteo non vuole essere buonista, non vuole raccontare una mezza verità, ma prova a calarsi e calarci nei panni di un padre che muore una, due, infinite volte: muore nella relazione con la figlia assassina preterintenzionale della seconda moglie. Fragili e forti a corrente alternata, padre e figlia, uniti già da un lutto impossibile da elaborare per lei, quello della madre, e separati dall’amore stesso e forse in eccesso. Sì perché Pietro ama e si risposa, diversi anni dopo. E ama Sofia di cui monitora continuamente, ossessivamente l’umore e gli incubi. La ragazza ama il padre, come “sua” cosa rimastale, alimentando una forma di gelosia, chissà se vissuta in memoria della madre che morta non può più essere gelosa, nutrendo un sentimento di amore-possesso verso il padre per cui combatte l’invasione anche fisica, sessuale di Chiara, la compagna del padre mai accettata. La nuova moglie cerca in tutti i modi di infilarsi nel suo cuore ma, per caso, si infilerà nel coltello che Sofia, durante una discussione, le punta contro. Chiara muore e la vita di padre e figlia cambia di nuovo, forse irrimediabilmente. Il film parla di riparazione e va al di là della retorica del perdono, non è ipocrita, è duro, forse troppo, perché è vero, forse troppo. Una prova artistica di livello, non solo perché girato in pellicola, ma anche per la capacità di raccontare non una storia vera, ma verosimile, suggerita dalla fantasia e supportata dalla realtà. Il finale è lasciato alle parole del padre, meravigliose e poetiche, di accoglienza e chissà se per il pubblico di speranza.
Accorsi da abbracciare
Alla fine lo vuoi abbracciare, per consolarlo: Accorsi in questo film è quel padre che nessuno vorrebbe essere vista la tragedia che vive. Un padre che perde tutto in un attimo, che non può piangere la moglie perché è sovrastato dal dramma della figlia, che prima rifiuta, poi le si avvicina e poi... Nei panni di Pietro, Accorsi supera la finzione, diventando maledettamente vero: urla, piange, marca il viso di rughe nuove, quelle del dolore estremo, che nemmeno la morte dà. “Come sempre si parte da un copione, dall’incontro col regista. L’approccio di Ivano è stato empatico, con le sue parole mi ha abbracciato. Questo voler entrare nei panni dell’altro mi ha affascinato. Il dolore è raccontato con sfaccettature complesse. Si entra in uno specifico estremo per poi interrogarsi. Si esce da questo caso e ci si chiede che cosa avrei fatto io al suo posto e non ci sono risposte definitive. Bisogna provare certe cose per dare una vera risposta. Sul set ogni tanto ridevamo per mantenere una distanza dalle emozioni”.
Il regista nei panni del padre
De Matteo ha ripensato alla terribile vicenda di Novi Ligure dove Erika, insieme al fidanzato Omar, uccise il fratellino e la madre; e si è liberamente ispirato al libro “Qualunque cosa accada” di Ciro Noja. Il regista ha voluto indossare i panni di un uomo che si ritrova in un colpo a essere padre dell’assassina e marito della vittima. “Ero rimasto colpito da alcune dichiarazioni del papà di Erika che ha continuato a cercare la figlia, andando a trovarla in carcere, senza abbandonarla, nonostante tutto. Cerco di mettermi nei famosi panni dell’altro, senza giudizio. Mi sono chiesto cosa può fare un genitore in un caso simile. Penso che sia troppo facile puntare il dito contro la famiglia dare la colpa ai genitori se un ragazzo fa una cosa estrema. Io non mi condannerei in toto. Un genitore cerca di insegnare ai propri figli il massimo, quando escono però trovano un altro tipo di educazione, c’è una crescita fuori. A volte si fanno degli atti dimostrativi per farsi notare, che dopo si pagano. La storia di Novi Ligure mi aveva colpito molto, poi mi è arrivato il libro, in cui la protagonista però era molto, molto violenta. E quella violenza l’abbiamo eliminata. Noi piuttosto volevamo portare all’attenzione una persona che compie un reato ma che nel corso del film va dimenticata per seguirne il percorso. Percorso di recupero e di riparazione. Aggiustare qualcosa che hai rotto a te e agli altri. Per arrivare infine alla “messa alla prova”, l’Italia è stato il primo Paese ad adottarla, che rappresenta una seconda possibilità. Si può fare una cazzata da ragazzo, ma si può anche riparare”.
