Vai, Federica

Comanda i 200 stile libero per tre vasche. Lascia alla cinese Jiaying Pang la gioia di sfilare prima ai cinquanta. Appagata la fame nazionalistica del pubblico, comincia a spingere. E così negli ultimi venti metri siamo solo noi a soffrire, noi che vediamo la Isakovic in rimonta centimetro dopo centimetro. Lei è sicura che nessuna le toglierà quella gioia che insegue da quattro anni
Vai, Federica
Dario Torromeo
10 min

Federica è arrivata a Pechino in un mutismo a mezza via fra la timidezza e la scaramanzia. Poi è scesa in acqua e ha lanciato la sfida. Con i capelli ancora bagnati per la frazione della staffetta appena disputata, con quegli occhiali che le regalano un’aria seducente, sorride ai giornalisti, poi dice solo due parole. «Si comincia». Non aggiunge finalmente, ma lo pensa. La nemica si chiama Katie Hoff, una che negli anni ha visto aumentare la massa muscolare e il volume delle mascelle, oltre al conto in banca. Terzo incomodo Rebecca Adlington, la diciannovenne britannica che ha il vezzo di cambiare costume a ogni gara. Una che sa reggere il peso della sfida, una cliente scomoda. Federica non si guarda indietro, non l’ha mai fatto. Ha una considerazione molto alta di sé, non riesce proprio a pensare che il resto del mondo possa farla perdere. La responsabile di ogni sconfitta è solo lei stessa. Nello sport, come nella vita. A diciotto anni diceva: «Non sono più una bambina, sono una donna». Adesso, ventiquattro mesi dopo, si guarda indietro e dice: «Sbagliavo, sono una donna solo da poco. Una bella donna». Non si nasconde, non l’ha mai fatto. Anche quando deve sfidare gli uomini, in acqua o nelle esperienze quotidiane. Un pomeriggio di sole, in uno dei rari momenti di pausa dagli allenamenti, davanti alla spiaggia che adora, parliamo. «Prendi l’amore. Alle donne basta un bacio, gesto di grande sensualità, per capire tutto. Agli uomini, non si sa perché, serve molto di più. Sono incapaci di mostrare con semplicità i loro sentimenti. Se devono dirti una parola dolce, si sentono sminuiti. E, frenati nell’orgoglio, restano muti. Sono orgogliosi. In allenamento mi sono spesso confrontata con loro. Piuttosto che cedere, si prenderebbero una settimana di febbre. E questo mi fa ridere. Farsi battere da una donna non è bello, lo so. Ma io godo, come godo. Godo davvero!».

Novella Calligaris, una che di tensioni se ne intende, dice che la ragazza dovrebbe isolarsi, mettersi sotto una campana di vetro, tenere dentro la rabbia per poi farla esplodere in gara. Ma la Pellegrini sa navigare tra le insidie della comunicazione. Non a caso è una tra le sportive più popolari approdate a Pechino. Ora non resta che mettere l’ultimo tassello. Bang! La delusione arriva alle undici del mattino. Ed è terribile. Federica Pellegrini mai in gara. Lenta, viaggia sempre dietro avversarie che marciano su tempi lontani dai suoi. I 400 stile libero dovevano essere la gara dell’oro, della consacrazione, il primo successo ai Giochi del nuoto femminile azzurro. Alla fine le arrivano in quattro davanti. Rebecca Adlington, Katie Hoff, Joanne Jackson e Coralie Balmy. Fede è solo quinta, lei che è la più forte tra quelle che sono scese in acqua. Ha la faccia stupita di chi non capisce se stia vivendo un sogno o cavalcando una brutta realtà. Meno di ventiquattro ore prima aveva nuotato da padrona del mondo, andando a palla come se volesse sgretolare il suo stesso primato, fino a scendere sotto il muro dei quattro minuti. Aveva rallentato ai duecento per osare di più in finale. Una volta in gara si è ritrovata spenta, incapace di reagire. Una veloce dichiarazione polemica. «A quest’ora non vado. La colpa non è mia se non abbiamo mai provato gare alla mattina. Gli allenamenti non bastano. A sbagliare non sono stata solo io». Deve essere proprio tanta la frustrazione, se si lascia andare a una frase che tocca l’uomo della sua vita. Alberto Castagnetti è il tecnico, la guida, il mentore. Loro due si capiscono al volo, si stimano. Ma l’atleta, si sa, quando è sotto stress non sempre misura le parole. Accade a tutti i campioni, in questo la Pellegrini non fa eccezione.

Torna al Villaggio Olimpico, si stende sul letto ma non riesce a dormire. Passa tre ore a fissare il soffitto. Torna al Cubo d’acqua e segna il primato del mondo dei 200 sl con 1’55”45, sette decimi in meno del vecchio record di Laure Manaudou. E allora le sensazioni si mischiano. C’è la gioia per quello che è appena accaduto, unita alla speranza per quello che potrebbe accadere in finale. Ma anche tanta rabbia per la grande occasione buttata al vento in una mattina da dimenticare. Federica tocca la piastra, guarda il tabellone comincia a prendere a pugni l’acqua. Ride, si entusiasma. «Ho dimostrato che dopo una batosta so reagire. Non c’è l’ho con Castagnetti, siamo in sintonia. Sono forte come lo ero stamattina , anche se non so spiegarmi cosa sia successo. Sono testarda, continuerò a provarci. Si ricomincia». Impiega cinquanta metri per dimenticare. Sette ore dopo la grande delusione, si tuffa nuovamente in acqua. Quarta dopo la prima vasca, comincia a marciare su grandi ritmi lasciandosele tutte dietro. Una gara folle per scacciare la rabbia accumulata al mattino. Cerca il colpo delle meraviglie per purificarsi e tornare quella che era prima della batosta sui 400 sl.

Ora deve fare l’ultimo passo. Solo in quel momento Federica conoscerà la verità. In Italia è l’alba del 13 agosto, anno di grazia 2008, quando la Pellegrini si tuffa in acqua e va a vincere il primo oro femminile del nuoto azzurro in un’Olimpiade. Finalmente è felice. Allo sport ha sempre chiesto sicurezza, cercando di riprovare quella piacevole sensazione che avvertiva quando, da bambina, si metteva nel letto tra mamma e papà mentre fuori tuoni e lampi riempivano l’aria. Ha trovato il suo angolo di certezze all’interno di un gruppo che l’ha aiutata a uscire dalla delusione profonda, l’ha fatta tornare a sorridere. E si è presa quello che era suo. Oro per una ragazza diventata donna. Con grande fatica. Ed è forse per questo che sente nostalgia di quel suo essere bambina, ha rimpianto e orgoglio per essere dovuta crescere in fretta. La vittoria e il primato cancellano brutti ricordi che adesso sembrano così lontani. Tempo fa mi raccontava come l’argento di Atene 2004, a soli sedici anni, le avesse creato attorno più di un nemico. Aveva aggiunto che la sconfitta ai Mondiali di Montreal aveva esaltato l’ipocrisia di altri. Ma lei aveva tirato dritto.

Una donna italiana sul tetto del mondo. Ci sono altri sport che ci hanno abituato a questa realtà. Per il nuoto è una novità assoluta. Per una vita ci siamo aggrappati a Novella Calligaris, prima in acqua e poi nei ricordi. Adesso Fede è diventata la più forte di sempre, maschi inclusi. Nessuno ha mai fatto quello che lei è riuscita a fare: oro e argento in due Olimpiadi, quattro record del mondo, argento e bronzo ai Mondiali. I due ori ai Giochi di Domenico Fioravanti, le cinquantotto medaglie di Rosolino. Vero, anche loro sono nel Gotha del nuoto. Ma la Pellegrini è un passo avanti. Come Massimiliano ha saputo volare via dai ristretti confi ni di questo sport. È diventata personaggio popolare, ha occupato riviste femminili, programmi televisivi, quotidiani sportivi e politici. La faccia di questa bella ragazza veneta è entrata nelle case degli italiani. E lei non si è nascosta, andando a mostrare anche un corpo di cui è orgogliosa. «Mi piaccio con tutti i miei difetti. Mi hanno proposto di posare per un calendario, ma ho risposto di no. Non per pudore. Un calendario lo realizzi per venderlo, devi solleticare la curiosità del compratore. Io le foto nuda le faccio per me stessa, senza volgarità». Ogni volta che le ho chiesto quale fosse il suo ideale di donna, mi ha risposto allo stesso modo. «Sono troppo vanitosa per dire che mi piace un’altra». Quando è in acqua non si può proprio darle torto.

Da noi non c’è nessuna come lei. Non c’è mai stata, forse mai ci sarà. Comanda i 200 sl per tre vasche. Lascia alla cinese Jiaying Pang la gioia di sfilare prima ai cinquanta. Appagata la fame nazionalistica del pubblico, Fede comincia a spingere. E così negli ultimi venti metri siamo solo noi a soffrire, noi che vediamo la Isakovic in rimonta centimetro dopo centimetro. Lei è sicura che nessuna le toglierà quell’oro che insegue da quattro anni. Voleva fare l’archeologa, la psicologa. Ancora non ha deciso cosa farà da grande. Le piace leggere, non può fare a meno della musica. Ama vestirsi di nero, adora i tatuaggi. Ha scritto un libro che ha intitolato “Mamma, posso farmi il piercing?”. E il piercing se lo farà davvero. Sul capezzolo sinistro. È uscita da Atene 2004 con una medaglia d’argento e una crisi profonda. Poi è tornata, più forte di prima. Ha tirato fuori qualche lacrima dopo aver toccato la piastra d’arrivo e aver visto sul tabellone luminoso il record del mondo. Poi ha gridato al mondo quanto sia bello il sapore della rivincita.

La ragazzina è diventata donna e ha imparato ancora di più a soffrire. Le gioie, conquistate dopo il pianto diventano più esaltanti. Ha preso la medaglia e l’ha chiusa a chiave in un cassetto della sua stanza al Villaggio. Neppure un incubo è venuto a turbare la notte della vigilia. A volte le è capitato di sognarsi ultima, di vedere come in un film dell’orrore lei che sbaglia la partenza. Le è capitato di guardare se stessa in piscina, ancora stretta nell’accappatoio, mentre cercava disperatamente di liberarsi e l’angoscia saliva sempre di più. Stavolta no, i demoni l’hanno risparmiata. E dopo il trionfo si è addormentata sorridendo, con la medaglia vicina. Quando si sveglierà, potrà urlare al mondo quella frase che le piace tanto. Quella che ha sentito in un vecchio film trasmesso tempo fa dalla tv. «Io la mia vita ho deciso di viverla come l’ho sognata». Vai, Federica. E pensare che hai paura dell’acqua, o meglio: del mare…


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