Dopo la presentazione alla 73a Mostra del Cinema di Venezia, arriverà nelle sale l’8 settembre il secondo film da regista di Kim Rossi Stuart: Tommaso, di cui è anche il protagonista. Tommaso è un attore giovane e bello che riesce a farsi lasciare da Chiara, la sua compagna. Ora pensa che ad attenderlo ci sia una sconfinata libertà e tante avventure, ma non saranno rose e fiori. Tommaso, alla fine, si ritrova da solo e non ha più scampo: deve affrontare quel momento del suo passato in cui tutto si è fermato.
Ho letto che le sono serviti nove anni per scrivere il soggetto. Conferma? E come nasce l’idea del film?
Sono trascorsi nove anni, ma non sono stati impegnati tutti su questo progetto, ho fatto anche altro nel frattempo. Ho avuto bisogno di maturare alcune convinzioni, che necessitavano di tempi lunghi. Dopo “Anche libero va bene”, ho pensato a quale potesse essere il mio secondo film da regista. Avevo tante ipotesi, c’erano tante spinte diverse dentro di me: una parte di me voleva fare qualcosa di più introspettivo, un’altra qualcosa di più ludico. Alla fine ha prevalso in me la voglia di fare qualcosa che abbia una componente di impegno. E per me l’impegno più grande che si possa prendere nei confronti della società è guardarsi dentro nella maniera più spietata, più autocritica e costruttiva possibile. PHo optato dunque per un film totalmente introspettivo in cui non c’è una trama esterna, ma solo interiore, è un viaggio interiore. Il tema è molto chiaro: il desiderio da parte dell’essere umano di appagare i propri bisogni sentimentali (e non).
Si rivede un po’ in Tommaso? Ci sono dei tratti che la accomunano al personaggio?
È una domanda che mi viene fatta spesso e la risposta inevitabilmente è sì. Parto sempre dal principio della mia insegnante di 30 anni fa: ognuno di noi ha tutto dentro, bisogna solo andare a ricercare quel piccolo file che ti dà accesso a quel personaggio. In questo caso c’è di più: come in tutti i film introspettivi, si travasano tante cose dell’autore. Se vogliamo fare un paragone motociclistico, questo film è come una “naked”, è cioè destrutturato di qualsiasi edulcorazione, dà la sensazione di un volersi mettere a nudo, sensazione che ho cercato profondamente di mettere in moto. Oggi la cosa più preziosa che possa fare un essere umano per se stesso e per la comunità è proprio mettersi a nudo.
È questo dunque il messaggio di Tommaso?
È uno dei tanti messaggi, è soprattutto la prospettiva con cui ho portato avanti questo lavoro. Avrei potuto fare un film “vestito” di qualsiasi genere, ma così facendo non si sarebbe andato oltre il semplice e puro intrattenimento.
Che accoglienza si aspetta dal pubblico?.
Cerco di non aspettarmi mai nulla. Nelle poche proiezioni private che abbiamo fatto finora, ho capito che è un film in cui devi entrarci dentro completamente e per farlo devi essere in grado di guardarti dentro. È una pellicola che aspira a una certa profondità, ma con un’inclinazione piuttosto solare, allegra, attraversata da una vena di forte ironia.
Un film dunque impegnativo, ma con il suo lato divertente…
In questo senso penso di aver azzardato, di aver mescolato la mia voglia di analizzare tematiche interiori, anche complicate, con il desiderio di sdrammatizzare e prendere in giro. Uno strano incrocio.
Nel suo film ci sono anche Cristiana Capotondi e Jasmine Trinca. Come è stato lavorare con loro?
Ho chiesto a tutti gli interpreti di faticare e aderire a questo desiderio di nudità del film. Abbiamo fatto dei ciak molto lunghi, cercando di toccare cose autentiche, di farlo con il massimo della verità possibile e ho trovato una disponibilità, una generosità incredibile da parte di tutti loro. A partire da Jasmine Trinca, che ha un ruolo piuttosto circoscritto: lei è presente solo in quattro scene, che però raggiungono apici emotivi piuttosto alti. Mi serviva un’attrice con un grande cuore per un’impresa del genere e Jasmine è stata assolutamente all’altezza.
Ci sono stati altri colleghi con cui si è trovato bene e con cui magari un giorno vorrebbe tornare a lavorare in futuro?
Si farebbe prima a dire con chi non vorresti lavorare… Ci sono tanti attori con cui mi sono trovato bene, non vorrei far torto a qualcuno non nominandolo… è un mestiere che ti permette di avere legami professionali e affettivi molto forti. Ma se devo proprio scegliere qualcuno, allora ti dico tutto il gruppo di Romanzo Criminale, da Claudio Santamaria a Favino, Accorsi ecc. Con loro c’era un clima molto goliardico, ci siamo divertiti molto .
Lei ha interpretato tanti personaggi, anche molto diversi fra loro. Si sente più a suo agio nella parte del “buono” o del “cattivo”?
Avendo un forte desiderio di purezza, per tanti anni trovavo nei personaggi più criticabili come Vallanzasca, che non è neanche un cattivo tout court, un desiderio di guardare dentro di me, per migliorare qualcosa. Oggi, invece, preferisco i personaggi positivi.
Lei è nato e cresciuto a Roma. Che rapporto ha con la Capitale? Quali sono i posti che ama di più e cosa le piace fare nel tempo libero?
Non sono un grande frequentatore del centro storico. Una cosa che mi piace fare è prendere il tram e perdermi tra i turisti tra Trinità de’ Monti, via dei Serpenti, il Ghetto. Ma, come detto, lo faccio raramente, perché così mi dà un’emozione piuttosto forte.
Lei è un grande tifoso della Roma. Cosa si aspetta da questa stagione che non è iniziata proprio nel modo giusto…
Al di là di cosa mi aspetto, tengo a dire una cosa: la Roma la accosterei molto al percorso che fa il protagonista del mio film, Tommaso. Secondo me, non ci siamo ancora liberati dallo choc della finale di Coppa dei Campioni contro il Liverpool. Io ero un ragazzino di 15 anni, che pianse e non vide più una partita di calcio per 10 anni. La Roma deve fare un lavoro di emancipazione, di liberazione da questo terrore latente di fare figuracce che poi puntualmente la porta a farle. Ci vorrebbe uno psicanalista serio…
Il poster che aveva in camera da piccolo?
Quelli di Bruno Conti e Bob Marley.
C’è un calciatore della Roma a cui farebbe girare un film, una scena?
Non è facile. Dovrei avere una storia in mente per individuare uno che sarebbe adatto.
Provi a fare un film sulla Roma allora…
Sarebbe una sfida incredibile riuscire a fare un film sul mondo del calcio. Ci sono stati dei film, penso a L’allenatore del pallone con Lino Banfi, ma è stato spesso trattato in maniera leggera.