Peterhansel, la sfida del signor Dakar: "Con Audi nel futuro"

Partenza a handicap per il francese, che vanta il record di successi nel rally più duro del mondo (14) e adesso lo sta affrontando con un mezzo assolutamente inedito
Peterhansel, la sfida del signor Dakar: "Con Audi nel futuro"© AFPS
Pasquale Di Santillo
8 min

Lui sa come si fa e lo fa così bene che non smette di farlo. Anzi, come i vini della sua terra, la Borgogna, migliora con gli anni. E continua a vincere, anche se a 56 anni è sempre più dura lottare con il caldo atroce del deserto chiuso dentro l’abitacolo del suo veicolo di turno, oggi trasformato in astronave. Lui, Stephane Peterhansel, “Monsieur Dakar”, il deserto ce l’ha nel sangue, da sempre. Ne ha domati di tutti i generi con ogni mezzo. In Africa, quando la Dakar era davvero la terra promessa dell’avventura pensata e realizzata da Thierry Sabine; in centro e sud America tra Cile, Perù, Argentina, e ora in Arabia Saudita.

Ha vinto in moto (sei volte) e in auto (otto) come nessuno ma - i trionfi a due ruote sono arrivati tutti con la Yamaha, quelli in auto con Mitsubishi (tre), Mini (tre) e Peugeot (due) - meritandosi per questo la definizione di “pilota del deserto”. Non teme le sabbie, Stephane, magari da ieri, domenica 2 gennaio, un po’ più le pietre. Mentre era secondo nella prima tappa, attorno ad Ha’il, ne ha colpita una a 100 km/h, con conseguente rottura della sospensione della sua Audi RS Q e-tron. L’impatto non è stato molto violento, e lui assicura di non aver mai "vissuto nulla di simile a questa velocità". Ha perso più di sei ore in attesa dell’assistenza, ma non ha gettato la spugna.

Dakar, Sainz dà la colpa al road book: “Siamo tutti stupidi o qualcosa è sbagliata”

Peterhansel, scusi, ma dopo tutto ma dopo tutto quello che ha conquistato in carriera, dove trova la voglia, la pazienza, le motivazioni e le energie di rimettersi al volante della nuova Audi RS Q e-tron per partecipare per la 33ª volta alla Dakar? Chi glielo fa fare?

"Sarebbe facile per me - risponde ridacchiando al telefono - dirle che è la passione a muovermi. E forse all’inizio è stato questo. Perchè ché guidare nel deserto, aff rontare tutte le sue insidie e difficoltà è davvero impossibile senza avere passione. Ho inseguito a lungo un sogno e l’ho raggiunto, trasformato in realtà. Ora però, è tutto diverso. Per me è avere motivazioni è quasi naturale. Non mi costa fatica e mai mi è costata, com’è naturale prepararmi tutto l’anno per questo appuntamento. Lo faccio da solo, alla mia maniera, con molta bici e tanta mountain bike, senza preparatori nè nutrizionisti. Mi alleno e mangio come ho sempre fatto. E poi so che verrò ripagato da quei panorami unici che riesco a godermi anche quando sono in gara. La verità è che sono un uomo fortunato...".

Quindi non è una questione di affrontare nuove sfide come quella che le ha proposto Audi che, dopo i trionfi nei rally, nell’endurance e in Formula E, vuole vincere nel deserto con un prototipo a trazione elettrica dotato di un motore termico come caricatore delle batterie?

"Sono un grande fan dei rally raid, ma seguo anche le altre discipline del motorsport. Negli anni, non ho potuto che ammirare l’impegno di Audi nei rally, sin dai tempi delle vetture nel Gruppo B. Si è distinta per una peculiarità difficile da trovare in questo ambiente: qualunque fosse la competizione, su qualsiasi terreno, l’obiettivo è sempre stato vincere. È così anche oggi che affrontiamo la Dakar per la prima volta. E questo coincide con la mia identità di pilota. Per questo sono orgoglioso di far parte di questo team".

Dica la verità: se solo cinque anni fa le avessero detto che si sarebbe schierato al via della Dakar su un prototipo a trazione puramente elettrica, come avrebbe risposto?

"Non ci avrei creduto e avrei sorriso. Non l’avrei mai presa sul serio una proposta così. Non avrei mai pensato che questo tipo di tecnologia potesse regalarmi un simile piacere di guida, qualcosa di mai provato prima. È stato sufficiente salire per la prima volta a bordo dell’Audi RS Q e-tron per capire quanto mi sbagliavo e ora non ho più dubbi: la trazione elettrica nel tempo conquisterà un pubblico sempre più vasto anche nell’uso quotidiano, non farà più rimpiangere i sistemi tradizionali".

Su quali basi ha costruito questa sua convinzione?

"L’Audi RS Q e-tron ha una prontezza di erogazione eccezionale, superiore a qualsiasi altra spinta da motore termico. La coppia arriva in maniera praticamente istantanea e non dovendo pensare a cambiare o innestare le marce, posso concentrarmi totalmente sulla guida. Bisogna solo abituarsi al suono, il 4 cilindri TFSI a benzina che funziona da range extender (ricarica le batterie che danno energia ai tre motori elettrici; ndr), non reagisce in maniera lineare, diretta alle pressioni sull’acceleratore".

Che consigli ha dato al Team Audi nelle fasi di sviluppo?

"Audi conosce benissimo la trazione elettrica grazie alle esperienze accumulate negli anni nell’endurance e in Formula E, allo stesso tempo noi piloti della Dakar ci siamo costruiti la nostra esperienza tra le dune e sappiamo cosa è necessario per vincerla. Così il nostro input principale è stato quello di non concentrarsi sulla velocità, sul limare il decimo di secondo, ma piuttosto ricercare la massima affidabilità".

È stato difficile per lei dialogare con una realtà al debutto in un gara nel deserto?

"No, anzi, uno degli aspetti straordinari di questa avventura sta proprio qui: tutti sanno esattamente cosa fare. Audi non si poteva far cogliere impreparata quando ha deciso di sviluppare una certa vettura. Il team Q Motorsport di Sven Quandt da 25 anni lavora e coglie successi nel deserto. E il suo apporto è già stato importante in tre delle mie vittorie alla Dakar. Con Sainz senior poi, ho un ottimo rapporto, basato sulla fi ducia, condividiamo idee, opinioni, soluzioni. Lo stesso Mattias Ekstrom, anche se è un rookie nel mondo marathon, vanta una carriera notevole in circuito ed è stato campione del mondo di rallycross. Senza dimenticare che conosce Audi Sport alla perfezione. È un mix davvero eccezionale".

Dall’anno scorso condivide l’avventura alla Dakar con il navigatore Edouard Boulanger, dopo tanti successi con Jean Paul Cottret. Cosa l’ha convinta a cambiare in un ruolo così delicato?

"Eduard proviene dal settore moto, nel quale ho iniziato anch’io. E da molti anni si cimenta nelle marathon. È abile, calmo, curioso, professionale. Non fosse stato così non avremmo mai potuto vincere insieme la Dakar dello scorso anno. Sono felice di averlo, ci completiamo".

Senza l’incidente di domenica, l’Audi RS Q e-tron avrebbe competere per la vittoria?

"Non abbiamo fatto raid di preparazione, solo tanti test, in Germania, Spagna e soprattutto in Marocco. E quello che affrontiamo è qualcosa di davvero difficile. La Dakar 2022 è stata concepita su uno percorso in gran parte differente rispetto al 2021, quando il terreno era prevalentemente roccioso. Ora ci attendono le dune del Quarto Vuoto, il più grande deserto di sabbia del mondo. Qualcosa che mi ricorda da vicino i tempi delle Dakar africane. La difficoltà sta nel fatto che non ci sono città, strade che possano fare da riferimento. Se lì ti succede qualcosa, non ne esci facilmente e senza danni. Dovremo evitare tutte le trappole che si potranno incontrare tra le dune. Il primo obiettivo adesso è arrivare al traguardo. Come primo anno sarei stato felice di chiudere tra i primi cinque. Ciò non toglie che, malgrado il ritardo accumulato, guiderò per vincere. Come ho sempre fatto".

Non avevamo dubbi, “Monsieur Dakar”.

 


© RIPRODUZIONE RISERVATA