Malaga, Coppa Davis, match decisivo. Berrettini è 5-5 al terzo contro Kokkinakis, che serve avanti 15-0. L’aussie spinge forte con il dritto anomalo, è un punto quasi fatto, Matteo arriva in allungo, è tre metri fuori dal campo; mentre Kokkinakis è già certo di essersi portato 30-0, Berrettini gioca uno slice di dritto incrociato stretto che manda in visibilio il pubblico. La panchina azzurra impazzisce e il match prende una piega azzurra. «Era un dritto alla Castrichella, Vincenzo (Santopadre; ndr) me lo diceva sempre», spiega Matteo in conferenza stampa. Gabrio Castrichella è stato un buon giocatore, arrivato al n.207 a fine anni 90, nonché stimato tecnico federale da tempo immemore. «È un colpo che gioco abbastanza spesso e recentemente mi è riuscito anche con Gaston a Kitzbuhel. Non mi riesce sempre, ma stavolta è andata bene; nasce dai match sulla terra battuta romana, quando da bambino, in corsa, dovevo salvarmi in qualche modo».
Berrettini e gli inizi al Circolo della Corte dei Conti
È una vittoria, quella contro Thanasi Kokkinakis, che racconta molto del Berrettini ragazzo, che al Circolo della Corte dei Conti costruiva il proprio tennis tra (tanti) grandi diritti e (poche) importanti difese. Sulla terra poteva capitare di trovare il vincente se si aveva la fortuna di giocare con il sole, al caldo, ma nella maggior parte dei casi ci si affrontava su un “rosso” umido, con le palline pesanti, dei “gatti” come si dice in gergo. Fare il vincente diventava difficile, e correre era un obbligo; e quindi, anche un ragazzone alto, destinato a diventare un “big server”, doveva difendere, arrangiarsi. «Su superfici così veloci come quella di Malaga – spiega Berrettini – bisogna difendere quando l’avversario è al servizio. Sono stato presente, attento, pronto a vincere quei 2/3 punti fondamentali». Come sulla terra rossa, umida, romana.