«Giocare con il cappellino per me è molto importante, quasi come il casco per i piloti di MotoGP. In una intervista Valentino Rossi ha detto che quando abbassa la visiera per lui esiste solo la gara; per me è quando inizia a esserci solo il tennis». Dallo sportswear al completo delle grandi occasioni: c’è un Sinner per ogni stagione. E se è vero che l’abito non fa il monaco, nessuno come Jannik è capace di essere sempre sé stesso. Le vittorie fanno ovviamente la loro parte, ma è la sua autenticità a illuminare i sorrisi dei tanti bambini che hanno avuto la fortuna di incontrarlo. Chi nel primo pomeriggio al Nike Store di Torino, portando a casa una maglietta personalizzata e un cappellino autografato, chi nella splendida cornice del settecentesco Teatro Carignano, il più antico di Torino, per il “Meet the champions”, dove ha condiviso il palco con Alessandro Cattelan e gli altri protagonisti delle Nitto ATP Finals. In platea, tanti giovani delle scuole tennis, ma l’effetto Sinner non lascia indifferenti nemmeno i più grandi, e lo si è capito dalle grida di entusiasmo di quei papà che per pochi istanti devono essersi dimenticati dei capelli bianchi. «Parli come un trentacinquenne», scherza Jannik, impressionato dalla domanda di un ragazzo. Jannik sa parlare ai più piccoli, capisce le loro preoccupazioni e risponde con sincerità. Gli chiedono delle pressioni e dei momenti di paura in campo, lui fa capire di esserci passato come tutti: «Quando entri sul Centrale degli US Open c’è scritto “La pressione è un privilegio”. È davvero così, perché tanti atleti non sentiranno mai ciò che provo io quando gioco match così importanti. Ho lavorato per arrivare lì, è una pressione divertente. E alla fine non sono un dottore: se sbaglio, non faccio del male a nessuno. E quando la palla non entra in campo? Provate a fare le cose semplici. Quest’anno ho giocato più di 70 partite e solo in 4 o 5 mi sentivo perfetto, nelle altre bisogna trovare le soluzioni con pazienza».
Playstation, il calcio e i riti in campo: i segreti di Sinner
La curiosità dei ragazzi esplora anche la routine di Jannik: oltre al tennis, è immancabile la playstation, un piacere “proibito” che diventa detox per l’anima del numero 1: «Non posso svelarvi tutti i miei segreti! Ma in campo faccio sempre passare il piede destro sopra la riga e faccio rimbalzare la palla 7 volte sulla prima e 5 sulla seconda. Cosa eliminerei dalla mia routine? Forse la Playstation… ma non ci riesco (ride, ndc). A fine giornata mi aiuta a rilassarmi ed è un’occasione per parlare con i miei amici. Forse dovrei togliere la sveglia», aggiunge con un’altra risata. A teatro con Cattelan invece la platea si riempie di risate quando un ragazzo gli chiede del suo supereroe preferito: «Il mio è speed... scusate, Flash. E il tuo?». «Dybala». Dal tavolo in cui ha personalizzato le magliette con i bambini fino all’atteso blue carpet in Piazza Carlo Alberto, dove ha sfilato con gli altri campioni, senza dimenticare l’allenamento mattutino, la giornata di Jannik è stata ricca di impegni. Nel tardo pomeriggio, il media day, seppur con toni rilassati, ha iniziato a instillare un vago clima partita. Evitato Alcaraz, sui gironi Jannik ovviamente non si è sbilanciato: «È un sorteggio, prendi ciò che ti capita. Con questo format, la prima partita è fondamentale. Vincere ti dà fiducia, perdere mette dubbi e ti costringe a vincere le successive». E se in Italia l’altoatesino sta diventando più popolare del tennis stesso, domenica sera, alle 20.30, la sua sfida contro Alex de Minaur se la vedrà a distanza con il match di Serie A tra Inter e Napoli: «Quella tra il tennis e il calcio non deve essere una rivalità. Superare il calcio sarà impossibile, ma è bello vedere qualche bambino in più giocare a tennis».