© LAPRESSE Velasco esclusivo: "Volley, rugby e il calcio noioso: vi dico tutto"
Il patto è lo stesso invocato a fine anno: «Basta parlare di Olimpiadi». E i patti si rispettano. Con tutti. Ancora di più con Julio Velasco ora che il suo personaggio ha ripreso a vivere di vita propria, anche se in maniera più consapevole degli anni del maschile. Il “qui e ora”, il mantra di Parigi, è sempre lì che aleggia anche nelle serate invernali a guardare partite come se non ci fosse un domani perché prima di allenare la testa e il fisico delle ragazze, Julio allena la sua di testa, partendo dagli... occhi. «Adesso - spiega - con Volleyball tv le vedo davvero tutte, le partite. Il maschile è stata casa mia per 40 anni, lo conosco come le tasche dei pantaloni che indosso. Con le donne devo vedere, studiare, capire». E un’idea se l’è fatta bella chiara nei weekend passati davanti alla tv magari mentre pedala alla cyclette o si dedica a qualche allungamento, unica concessione fisica al meticoloso lavoro di studio dell’universo femminile delle schiacciate. In quattro mesi scarsi ha regalato a se stesso e a tutta l’Italia dello sport, un oro olimpico e uno alla VNL. Ma l’equazione durata del lavoro-medaglie non funziona sempre cosi. Anzi. Spesso va al contrario. E allora quale occasione migliore che la final four della Coppa Italia Frecciarossa per fare una panoramica sulla stagione femminile alla vigilia di quella che sarà la volata dei playoff scudetto, lo scivolo verso la stagione azzurra che porta dritta al Mondiale? Nessuna, appunto. E il qui e ora di Velasco offre di nuovo spunti di riflessione importanti.
Che campionato ha visto fino a questo momento?
«Diciamo che sta andando tutto come era prevedibile andasse, non mi aspettavo niente di particolare. Se devo essere sincero mi piacerebbe assistere a un maggiore equilibrio in campo. Conegliano squadra e Conegliano società fanno la differenza a tutti i livelli. E questa differenza in campo si vede. Sia chiaro, non è una responsabilità, una colpa di Conegliano che invece andrebbe presa come esempio e modello. E la questione dell’equilibrio vale anche nella parte bassa della classifica».
E come si risolve un problema del genere?
«Non è una questione di mia competenza e non ho assolutamente intenzione di entrare in campi che non mi appartengono. Allo stesso tempo è un problema che il movimento, nel suo complesso, conosce bene, per averlo affrontato anche nel maschile. La realtà è che non ci sono ancora abbastanza giocatrici di livello per 14 squadre, tanto più adesso con la nascita della nuova Lega americana. Sicuramente a 12 squadre il discorso sarebbe diverso...».
Parlare di riduzione dell’A1 a 12 squadre, non è facile: alternative?
«Penso che ognuno debba fare la propria parte. Le squadre nazionali giovanili devono cominciare a produrre molto più velocemente di quanto facciano adesso giocatrici di valore per la serie A1. Allo stesso tempo, anche società ed allenatori devono lavorare meglio, di più e con coraggio con le giovani. In fondo, è quello che è stato fatto nel maschile: penso a gente come Porro, Laurenzano e Bovolenta, portati a fare i titolari in A1. Ma su questo punto bisogna essere chiari: sono sempre stato dell’idea che i club debbano fare i loro interessi. Che siano vincere per lottare per lo scudetto o per salvarsi, non cambia. Poi si possono seguire tante strade e ognuno sceglie la sua. Ma ci deve essere anche quella di formare i giovani».
